lunedì 9 agosto 2010

La "crisi dei valori"

Inizio affermando che, secondo me, la paventata "crisi dei valori" è una realtà molto più sfumata di quanto si creda.

Mi spiego: parlare di "crisi" significa ammettere che in epoche passate si sia vissuta un'età dell'oro in cui questi valori erano in auge e diffusi universalmente.
Ora, per le poche conoscenze che io ho della Storia, quest'epoca non mi sembra mai esistita.

Sì, forse il Medioevo conosceva una stabilità ed immutabilità di riferimenti etici e religiosi oggi scomparsa, ma la maggior parte della popolazione viveva nell'indigenza, nella sporcizia, nell'ignoranza, nell'assoggettamento all'autorità. L'"individuo" come lo conosciamo oggi nemmeno esisteva.

Ciò naturalmente non significa che io neghi la presenza di problemi, anche gravi, di natura sociale ed etica in seno alla nostra società.
I "mostri" contro cui dobbiamo combattere dentro e fuori di noi ogni giorno, sono, credo, abbastanza conosciuti: l'economicismo, il consumismo, l'egoismo, l'edonismo esibizionista, il prevalere, in genere, della sfera materiale su quella spirituale.

La massa, di cui anch'io faccio parte, si lascia facilmente sedurre dai messaggi televisivi e pubblicitari, dal cinema di facile consumo e di dubbio valore artistico, dalle pubblicazioni dedicate al vasto pubblico, dove i protagonisti sono belli, levigati, sorridenti, possiedono automobili lussuose e gadget elettronici del tutto inutili, vivono in dimore sfarzose, godono di un successo che ha arriso loro senza alcun impegno o fatica, vivono quasi esclusivamente nella dimensione del tempo libero, non hanno nessun tipo di problema serio, adulto e nessuna preoccupazione quotidiana degna di questo nome.

Anche se trovo un po' assurdo demonizzare questo tipo di messaggio, che, seppur caricaturalmente, esprime una parte almeno delle aspirazioni dell'uomo occidentale (soltanto?), credo altresì che la vita reale, anche dei privilegiati, sia tutt'altra cosa.
Nella vita reale ci si ammala, si invecchia, si muore, si lavora, si rischia, si vive ogni genere di affanno.

La rincorsa al successo economico da ottenere senza troppe remore etiche e la vita vissuta all'insegna del divertimento sfrenato portano l'uomo moderno a provare penosi sentimenti di solitudine, di noia, di insicurezza, di vuoto esistenziale, di profondo disorientamento morale.

Questo fatto è paradossalmente acuito, anziché lenito, dalla libertà di cui gode l'uomo contemporaneo, dalla molteplicità di opzioni fra cui è chiamato a scegliere, in assoluta solitudine, senza riferimenti certi, senza guide che non siano il profitto economico e l'interesse personale. Viviamo oltretutto in un epoca di trasformazioni vertiginose, di cambiamenti continui, di complessità crescenti che esigono capacità di risposta non comuni e rischiano di schiacciare l'individuo facendolo sentire ancora più impotente ed insicuro.

Inoltre, negare o almeno comprimere, la parte spirituale dell'uomo, come fa più o meno coscientemente l'Occidente, porta a recrudescenza tutta una serie di mali sociali: la criminalità, il suicidio, la violenza, l'alcolismo, la droga, la cosiddetta "malattia mentale".

In parte questo è il prezzo che si deve pagare al progresso, alla democrazia, alla libertà. Non tutti riescono a sostenere il peso che comporta il dover compiere scelte autonome; e talvolta i più deboli e violenti indulgono a comportamenti devianti, mentre i più sensibili possono cadere vittima di conflitti morali interiori devastanti.

Cosa fare allora?

Intanto riconoscere che, se non il migliore dei mondi possibili, il mondo occidentale è forse il migliore dei mondi realizzati fino ad ora. Vivere nei secoli scorsi deve essere stato molto più difficile, precario e disumano di oggi. La Storia del passato è una storia di violenze, di fame, di epidemie, non dobbiamo nascondercelo.

I valori spirituali, morali ed artistici non sono alla portata di tutti e forse mai lo saranno. Si può sperare in una loro diffusione e già la nostra società ha aumentato il numero di coloro che leggono, provano piacere ad assistere ad un concerto o ad uno spettacolo teatrale, si pongono dei problemi di tipo etico e filosofico.

Ma è una questione di sensibilità e di intelligenza, caratteristiche in parte innate, solo parzialmente modificabili con l'educazione.
Alcune esperienze, la poesia o la musica "classica", per esempio, saranno, secondo me, sempre minoritarie. Persino il piacere della lettura.

Credo non si debba essere eccessivamente severi nel voler distrarre la maggior parte della gente dai loro divertimenti e dalla loro smania consumistica. In fondo, una popolazione di mercanti e flemmatici borghesi, quali noi stiamo diventando, è sempre poco incline alle guerre, desidera la pace e la stabilità e quasi sempre favorisce le arti.
Per contro esistono società fortemente anticonsumistiche e dai valori religiosi "forti", dove la maggior parte della popolazione vive nella miseria, nell'ignoranza, nella paura, nella guerra continua.

La civiltà, nei comportamenti e nelle idee, mi sembra da noi estesa in quantità rassicurante a larga parte della popolazione. Le giovani generazioni sembrano inquietanti, ma da sempre i giovani hanno destato preoccupazioni e sospetti.
E' vero, ci sono problemi di ordine pubblico dovuti all'espansione della criminalità, ma per quelli esistono delle parziali soluzioni tecniche di prevenzione e repressione, un concetto, a mio giudizio, da rimettere a nuovo e riconsiderare. Il fatto stesso che torme di diseredati si riversino fiduciose in Occidente significa che il nostro tipo di civiltà è attualmente insuperato, è considerato quasi un miraggio, una promessa di benessere cui aspirare.

Il capitalismo e le società democratiche e aperte hanno vinto. Le alternative sperimentate si sono rivelate opprimenti e sanguinarie.
Sono perciò fiducioso che noi occidentali sapremo trovare un minimo d'ordine, di equilibrio e di armonia in mezzo al cambiamento materiale e spirituale e alle nuove difficoltà e sfide indotte dalla rivoluzione tecnologica.

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