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venerdì 13 agosto 2010

L'ozio

La civiltà capitalistica e occidentale si fonda sul valore attribuito al lavoro, una concezione che fin da giovani viene interiorizzata come un dovere. Questa etica borghese ha portato a grandi risultati, riconosciuti anche da Karl Marx, un importante filosofo e critico del capitalismo.

Tuttavia, negli ultimi decenni, l'impulso occidentale verso un'attività frenetica mostra segni di crepe e contraddizioni. L'economia affronta crisi cicliche sempre più gravi e numerose industrie chiudono, lasciando milioni di persone disoccupate con costi sociali, economici e psicologici molto alti. Paradossalmente, gli Stati si trovano a dover sostenere finanziariamente una moltitudine di individui perché non lavorino assolutamente.

Un economista e acuto osservatore della nostra società come Jeremy Rifkin, nei suoi scritti, ha parlato della fine del lavoro. Forse, come profetizzato da Bertrand Russell, se il mondo fosse meglio organizzato, sarebbe sufficiente lavorare solo quattro ore al giorno. Invece, ovunque si vedono persone che si sfiniscono di lavoro, mentre altre soffrono per la mancanza di occupazione. Siamo tutti prigionieri del perverso circolo lavoro-consumo, producendo e consumando sempre di più, ma senza gioia, in un ciclo vizioso che appare sempre più insensato.

È giunto il momento di rivalutare il concetto di "ozio". L'antico adagio "l'ozio è il padre dei vizi" potrebbe non essere completamente vero. Forse la salute dell'uomo contemporaneo, stressato dall'incessante e ripetitiva attività, risiede nel ritrovare spazi personali liberi dal lavoro.

Dovremmo permetterci di riposare, rallentare e dedicarci all'esplorazione di nuovi ambiti, nuove dimensioni e nuove discipline. La cura di sé dovrebbe prendere il posto dell'attivismo a ogni costo. La strada per il benessere passa attraverso la riflessione, la possibilità di coltivare relazioni sociali, la capacità di conversare con gli altri in un modo diverso e una rinnovata relazione con la natura.

Dobbiamo evitare equivoci: il lavoro, anche duro, spesso è ancora necessario. Quello di cui dobbiamo liberarci è la schiavitù del lavoro e l'idea che, se non lavoriamo, non siamo nessuno. Dobbiamo smettere di identificarci esclusivamente con il lavoro che svolgiamo e capire che siamo qualcosa di più e di diverso.

Purtroppo, il tempo libero dal lavoro nell'uomo contemporaneo viene spesso trascorso nella distrazione della televisione, dei social e delle droghe, e nella superficialità delle vacanze, degli hobby e dei weekend.

L'arte dell'ozio, come tramandata dalla tradizione dei grandi pensatori antichi, non consiste nell'essere inerti e passivi, ma nell'ottenere realizzazione personale, nel riscoprire noi stessi e il nostro tempo, nello sviluppare il nostro talento creativo e, come afferma il filosofo Salvatore Natoli, nell'esercizio della sapienza e delle virtù.